Vincenzo Elviretti: Tra Parole e Provincia
📖 Vincenzo Elviretti è nato a Ostia nel 1981 e vive in provincia di Roma. Appassionato di scrittura, ha esordito nel 2009 con la raccolta di racconti Pietre, che ha suscitato l’attenzione del professor Paolo Leoncini dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il suo saggio su Pietre è stato pubblicato sulla rivista letteraria Italica dell’Università dell’Indiana (USA).
Oltre alla narrativa, si è distinto in ambito accademico con la sua tesi di laurea L’evoluzione del
Nel corso degli anni ha continuato a pubblicare racconti su riviste letterarie e raccolte collettive, esplorando la provincia italiana nei suoi aspetti più autentici e contrastanti.
📚 Le sue opere:
🔹 Pietre, storie di provincia – Una raccolta di sette racconti che esplorano la vita nei piccoli centri italiani, tra sogni, disillusioni e un senso di appartenenza spesso ambiguo. Storie crude e reali, dove la provincia non è solo uno sfondo, ma un vero e proprio personaggio.
🔹 Il vento – Un romanzo che mescola musica, mistero e il peso del giudizio sociale. Fabietto, protagonista della storia, è un giovane musicista che si ritrova coinvolto, suo malgrado, in un omicidio. Una storia di provincia in cui la comunità accoglie e respinge, esaltando e distruggendo con la stessa intensità.
Le sue opere raccontano un’Italia nascosta, fatta di silenzi e contraddizioni, dove la quotidianità può trasformarsi in una trappola o in un'opportunità.
🎤 ma passiamo alla sua intervista
D-Vincenzo, nei tuoi scritti emerge un forte legame con la provincia, un luogo che descrivi sia come rifugio che come trappola. Come nasce questa tua attenzione per il contesto provinciale?
Vincenzo: Dal fatto di averci vissuto gran parte della mia esistenza in un tale contesto. A volte, senza nemmeno volerlo, certi umori li capovolgo nella forma narrativa. Rifugio e trappola allo stesso tempo, a seconda di come strutturo il carattere dei personaggi delle mie storie: quasi sempre la prima opzione se inseriti e assorbiti nella socialità, quasi sempre la seconda per gli irregolari oppure per chi ha fretta.
D-"Pietre, storie di provincia" raccoglie racconti che affrontano la marginalità sociale e le difficoltà del quotidiano. Quanto c'è di autobiografico in queste storie?
Vincenzo: C'è poco, alcune sono ispirate a vicende di cronaca. L'unico racconto simil biografico, non nei personaggi, è quello della banda del paese che va in trasferta all'estero per un gemellaggio musicale.
Quando scrivo mi sforzo di non cadere nella trappola narcisa del parlar di sé, agli altri non interessa; valutato questa opzione narrativa soltanto se parlando di me riesco a rivolgermi a qualcos'altro, a un noi ad esempio.
D-Nel romanzo "Il vento", Fabietto è vittima della vox populi, un tema molto attuale nell'epoca dei social. Come vedi il ruolo della società nel determinare colpevolezze e innocenze?
Vincenzo: Distorto, nel senso che la visione sociale è condizionata dal raccontare la storia in modo sempre diverso, di bocca in bocca, di post in post, di falsificazione in falsificazione, al punto che spesso quello che “la gente sa”, non corrisponde alla verità e questo lo sanno bene i comunicatori contemporanei che plasmano l'informazione, e quindi il potere, a loro piacimento.
I social sono diventati una gigantesca provincia, nel senso spregiativo del termine “provincialismo”; non è invece accaduto il contrario, come forse al principio ci eravamo illusi, cioè che grazie a queste nuove forme di comunicazione la provincia potesse lanciarsi nella globalità.
D-La musica è un elemento centrale in "Il vento". Quanto è importante per te il legame tra letteratura e musica? Ti sei ispirato a esperienze personali nel descrivere la vita della band?
Vincenzo: Letteratura e musica per me sono sempre state intrecciate l'una all'altra. Un tempo mi cimentavo nello scrivere testi di canzoni, magari non era letteratura però è stata una buona palestra per certi versi.
“Il Vento” è un omaggio al mondo delle rock band così come venivano intese fino a qualche anno fa, almeno in Italia. Un sottobosco musicale quasi del tutto estinto. Beneinteso, la musica è in continua evoluzione e quelle realtà alternative e indie, che hanno contraddistinto i miei anni dell'adolescenza e poco oltre, sono state rimpiazzate da qualcos'altro, è naturale che avvenga ciò, così come che le nuove generazioni siano attratte da altri stili, generi musicali.
D-Nel tuo percorso hai spaziato dalla narrativa alla saggistica, con la tua tesi premiata su Toyotismo e industria italiana. C'è un filo conduttore tra questi mondi apparentemente diversi?
Vincenzo: Scrivere la mia tesi di laurea mi ha fatto capire di avere delle piacevoli sensazioni nel mettere una parola dietro l'altra, cosa che mi ha spinto a continuare a farlo. Ma la questione sensoriale rimane l'unico legame tra il mondo accademico della mia tesi di laurea e l'editoria contamporanea che pubblica i miei testi di narrativa.
D-Nei tuoi racconti i personaggi non sognano necessariamente la fuga dalla provincia, ma si trovano a viverla con tutte le sue contraddizioni. Pensi che il concetto di "provincia" sia cambiato nel tempo o resta immutato?
Vincenzo: Personalmente sì. Non ho più gli occhi di un ventenne e ho una percezione diversa rispetto a quando scrissi “Pietre”.
Credo sia un processo del tutto naturale.
E con questo non voglio dire che sconfesso quella visione di Provincia, è solo che adesso non mi verrebbe più a scrivere in quel modo.
L'affermazione potrebbe essere valida anche in generale: un certo tipo di Provincia non esiste più.
Un nuovo tipo di vivere le piccole comunità mi sembra che sia stato portato avanti dal mainstream. Se prima il concetto di Provincia era più prossimo a quello delle catene e del soffocamento, c'è tutta una narrativa di quelli che si sentono allo stesso modo stritolati dal caotico mondo urbano e cittadino che vorrebbero riabbracciare una vita più semplice e tranquilla e lenta ma temo che rimanga illusoria e nei sogni dei narratori perché i centri di produzione, gli uffici centrali, i ministeri, le strade asfaltate, sono sempre lì, vicino alle coste o al centro di grandi pianure.
D-Hai avuto l’attenzione di critici accademici, come Paolo Leoncini, che ha scritto su "Pietre". Che effetto ti ha fatto vedere il tuo lavoro analizzato in un contesto universitario?
Vincenzo: Onorato e grato.
È successo diversi anni fa che il professore Paolo Leoncini si è interessato al mio testo tanto da scriverci un breve saggio.
A dirla tutta anche un po' sorpreso di avere ricevuto questa attenzione
Tra l'altro grazie a lui ho avuto modo di mettermi con scrittori che mai mi sarei sognato di avvicinare come Enrico Palandri, suo collega all'Università di Venezia, e Paolo Barbaro, con i quali ho avuto rapporti, anche se brevi, di corrispondenza cartacea e di scambio di lavori narrativi.
D-Quali sono i tuoi progetti futuri? Stai già lavorando a un nuovo libro o pensi di esplorare altre forme narrative?
Vincenzo: Vorrei concludere la saga della “Provincia” con un breve testo che ho di recente inviato in valutazione all'editore che ha pubblicato finora i miei tre libri, Catartica Edizioni.
Ci sarebbero anche delle divagazioni narrative da calibrare e definire quindi work in progress e speriamo che potranno veder luce.
Grazie mille per l'intervista Veronica, a presto.
💬 E voi, avete mai letto le opere di Vincenzo Elviretti? Cosa ne pensate delle tematiche che affronta nei suoi libri?
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Eccomi Readers, spero che anche questa volta vi siate appassionati tanto quanto me! Non dimenticate di lasciare un commento e di continuare a seguire il blog per tante altre avventure tra libri e autori. Alla prossima storia, con tante nuove emozioni da scoprire!
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